La Pagina Azzurra

il nostro impareggiabile Pinguino

di Emilio Mancini

 

da: Il Piccolo, 13/2/1910

 

Tre pinguini in ceramica rimasti in Archivio; ogni volta che pubblicava un articolo firmandolo “Pinguino”, Emilio ne comprava uno per ricordo.

 

L’illustre Pinguino, dopo la fatica dell’esordio, perchè il rossore, che nel primo presentarsi al pubblico gli aveva avvampato la faccia, avesse tempo di dileguarsi, si è riposato sugli allori: un cuscinetto minuscolo dall’aspetto di un portaspilli.

Ma ora torna di nuovo a noi con il suo riso di Sileno bonario e arguto. Chi non ricorda, dinanzi alla caratteristica figura dell’illustre Pinguino il grande sofo dell’Ellade, quel che aveva sulle labbra l’ironia amara e con essa condiva alle menti sitibonde di nuovi veri i semplici parlari,  pieni di quella filosofia che aveva chiamata dal cielo in terra, dall’ardue vette metafisiche all’agora ateniese?

Il grande sofo aveva nel volto i beffardi, sgraziati lineamenti del caprino Sileno, ma per la sua gola aurea parlava l’usignolo delle Muse e nel suo petto brillava il divino splendore di mille cose belle.

Così il nostro impareggiabile Pinguino (impareggiabile in tutto, anche nelle gambe, nelle quali fin dalla nascita si palesò un insanabile dissidio tra la sinistra progressista e di tendenze avanzate e la destra conservatrice) lascia ancora una volta la quiete solenne della sua romita biblioteca, lascia i suoi fidi amici e compagni di studio, come lui assidui divoratori di libri: i topi paffutelli e lindi dall’occhietto vivido, dal passo ora cauto ora audace, dai baffetti all’ussara: Gonfiagote, Rubabriciole, Rodipane, Leccapiatti, Mangiaprosciutti, Montapignatte, Insidiapane e tutta la gloriosa, invincibile caterva dei roditori che sono come i fedeli paggi intorno al suo trono imbottito di capecchio. 

Ma silenzio! L’illustre Pinguino parla …

*

 *                *

Carnevale? 

Saranno state le quattro ma non lo posso giurare: potrebbero essere state anche le cinque della sera, di quella sera memorabile dell’8​ febbraio ​dell’anno 1910, ultimo giorno di Carnevale. Il cielo era grigio, piovoso, ma le strade, e specialmente Via del Giglio, formicolavano di persone gesticolanti quasi in preda ad un’ossessione.

Era uno schiamazzo indescrivibile, un incrociarsi confuso di risposte, uno sbattere furioso d’usci e d’imposte, un affacciarsi e uno scomparire di persone irrequiete alle finestre, un affannarsi di guardie e di carabinieri, uno schiamazzare di monelli, uno strillare di bimbi, un accorrere da presso e da lontano di bottegai in maniche di camicia, chi con la gratella, chi con la padella o la granata in mano.

I pompieri, chiamati In tutta fretta, dopo un’ora vennero immediatamente, facendosi largo fra la calca con le loro uniformi imponenti e gli elmi luccicanti. Vennero le squadre volanti delle varie Croci cittadine con i Presidenti a capo e molti militi in coda; venne senza capo né coda l’Unione Ciclistica fra un ininterrotto trillare di campanelli e tutti si dirigevano verso un punto misterioso.

Che cosa era mai avvenuto a sconvolgere le menti degli empolesi?  a riempir di stupore i nipoti di coloro che pur videro gli asini volare? Arcano! Le grida sono confuse,

si stringono le madri I figli al seno,

una serva, di ritorno dalla fonte, getta via le brocche, ogni uscio si apre e si serra …

Che è mai dunque? Ah respiro!

 È una maschera!

*

 *                *

Le stelle filanti

No, non è vero che le stelle siano filanti: esse sono semplicemente filate. Filanti sono quei giovani intraprendenti che con le suddette stelle, a torto chiamate filanti, intendono filare il perfetto amore con altre stelle assai più consistenti e più simili alle belle sorelle maggiori che splendono sotto l’azzurra volta del cielo.

Non filanti dunque, ma filate, a scopo di gentile, audace messaggio in franchigia tra finestra e finestra, tra strada e casa, tra palco e palco, intrecciando nel loro linguaggio misteriose ambasciate, scambiando saluti e parole profumate. E la sottile striscia guizza di … filata (donde stella … filata) al suo destino, tutta vibrante nell’aria come stelo di capelvenere, quando zeffiro torna e il bel tempo rimena.

E dopo la prima, un’altra, un’altra ancora scocca; un fuoco di fila (donde stelle …filate) crepita senza fumo (e meno arrosto!), e nell’area si forma un delicato ricamo, un capriccioso arabesco, una pendula tela istoriata, un leggero, tremulo pergolato. E dai lati pendono le stelle… sfilate.

In teatro talvolta le cartacee stelle, strettamente conteste, s’insinuano fra i leggii dell’orchestra, si adagiano dinanzi alla bacchetta del maestro, tanto che l’altro giorno, serata d’onore del Maestro Fratini, per la pioggia, anzi l’acquazzone di stelle, che imperversò nella sala del teatro, uno dei professori d’orchestra ebbe a dire:

 – Maestro, per la moltitudine delle stelle filanti (avrebbe dovuto dire filate) non vedremo la luce. –

 – Ebbene – rispose l’egregio seratante, ricordando la risposta epica dello spartano Leonida alle Termopili – suoneremo all’ombra!

 

*

*                 *

 

Il pensiero

Due soli beni al mondo valgono qualcosa: la salute e la coscienza tranquilla. Intanto gli uomini li perdono, quasi sempre, col correre dietro ad altri, che, conseguiti appena, si dileguano.

                                                                               ( Aristide Gabelli)

 

*

  *                *

 

Incastro

Centro … Centro … suonò il pendolo

–  Come fare? i lati fuggono

 e all’Inter non sono ancor!

 

*

 *              *

 

Per finire

Ecco gli effetti di 25 rappresentazioni consecutive della Manon. L’altro giorno un viaggiatore di commercio giungeva alla nostra stazione e mentre presentava il biglietto al guardia-sala, udì che questi mormorava:

– Guardate, pazzo sono io …

Il viaggiatore si riscosse da una specie di torpore in cui era caduto per il lungo viaggio e si volse subito ad un facchino, un omaccione dal pelo rosso e dalla faccia piena e rubiconda, il quale, andando incontro al nuovo arrivato, gridò: – Pazzo io son …

– Sacr … – esclamò stupito il viaggiatore – dove sono sceso? E si diresse difilato verso una vettura. Il vetturino, lieto della corsa guadagnata, schioccando la frusta, si detta a cantare: – Guardate … pazzo sono io … guardate …

Al povero viaggiatore il sangue gelò nelle vene: dove l’avrebbe condotto quel forsennato? Lì per lì si raccomandò l’anima a tutta la corte celeste, a San Gennaro e … finalmente,  trovatosi sano e salvo in terra, trasse dai precordi un respiro di sollievo.

Entrò in una delle prime locande del paese ed ordinò un cordiale, ma, mentre il cameriere si allontanava per eseguire l’ordine, l’udì (orribile a dirsi) mormorare:

Pazzo io son …  guardate …

Il povero viaggiatore però non volle guardar nulla: se la diede a gambe, lasciando cappello e valigia e borbottando tra i denti:  Ma questa è una gabbia di matti!…  e credo che fugga ancora…

Quel malcapitato viaggiatore si ingannava: non si trattava di maniaci, ma semplicemente di manoniaci!…

                                                                                         

PINGUINO